La storia di Ada e il Sambuco

Il grigio delle costruzioni umane sparse su ogni continente aveva superato tutto il verde e la natura che il pianeta Terra ancora ospitava: il mondo, la nostra bella casa, era ormai più artificiale che naturale.
Ada l’aveva sentito dire il giorno prima da un signore che stava leggendo ad alta voce il giornale, sul bus. Adesso che stava esplorando per la prima volta il bosco al di là dei muri cittadini, la notizia le tornò in mente: anche quelle terre erano destinate a sparire sotto un velo di cemento per far posto all’umanità?
Non era possibile un futuro in cui si potesse vivere comodamente senza rinunciare alla natura?
Mentre si poneva queste ed altre domande, alla bambina sembrò impossibile che tutte quelle foglie, quei tronchi e quei fili d’erba potessero sparire un giorno, come se mai fossero esistiti… Erano così tanti che non bastava un solo sguardo per accoglierli tutti, ma così silenziosi da sembrare sicuri di rimanere in pace per sempre: Ada si sentiva protetta da ogni cosa, sotto quel tetto d’alberi. Si mise a guardare il cielo azzurro che sbucava qua e là dalle verdi chiome: qualcosa ne stava sporcando la purezza.
Poi si arrampicò su un ramo, per fare chiarezza: dalla città si era alzato un grande nuvolone nero che stava ora invadendo i cieli
sopra il bosco.
Era un temporale? Strano, non c’erano né vento, né odore di pioggia o tuoni. Inoltre, un odore strano stava facendo scappare i profumi della natura: sapeva dei gas che inquinavano l’aria della sua città…
Era un nuvolone di smog! Il bosco era totalmente indifeso contro questa minaccia. Ada poteva ora far caso agli uccellini che si
allontanavano dai loro nidi, spiccando il volo; e ai leprotti e alle volpi che cercavano riparo in tane scavate nel terreno… ma gli alberi? Magnifici com’erano, Ada aveva imparato che potevano assorbire i fumi delle macchine per trasformarli in aria fresca; ma lasciarli in
balia di quella nuvola gigantesca sarebbe stato come far bere un umano da una cascata con un imbuto! Era semplicemente… troppo, anche per i saggi alberi.
Doveva far qualcosa, ma non sapeva cosa. Proprio quando, non riuscendo a resistere all’idea di tutta quella bellezza rovinata, le prime lacrime iniziarono a bagnare le guance della bimba, una leggera musica s’alzò nell’aria. Sembrava la melodia d’un flauto, ma suonata da qualcuno molto più bravo del più bravo fra i musicisti.
Seguendo quel suono rassicurante, Ada si ritrovò davanti ad un arbusto: i suoi fusti si alzavano dal terreno per poi ricadere verso il basso, giunti ad una certa altezza, verso la terra da cui erano nati; i rami, piuttosto sottili, erano coperti di lenticelle verdi proprio come le foglie composte che ospitavano, formate da 5-7 foglioline a forma di ovali allungati seghettati sui bordi. Da alcuni, poi, pendevano dei grappoli di piccole drupe, tanto scure eppure così lucenti.
Una voce uscì da un punto imprecisato del cespuglio:
“Ti saluto, visitatrice del bosco! Io sono il sambuco e ti do il benvenuto. Anche se avrei preferito farlo in un momento più allegro…”.
“Ho visto che il bosco è in pericolo, caro sambuco… Stavo proprio pensando a cosa fare!”.
“Per questo motivo ti ho condotta qui, piccola cara”
Le disse il sambuco
“Agirei io stesso, ma senza gambe… ci presteresti la tua abilità di camminare?”.
La bambina fece cadere le ultime lacrime, tirò su col naso e annuì con la testa.
“Benissimo! Allora ti chiederei di staccare uno dei miei rami, scegliendo fra quelli secchi. Non preoccuparti per me, è solo un piccolo sacrificio… ecco, ora svuota fuori il midollo che vedi al centro e fa dei piccoli buchi, aiutandoti con un altro rametto… così, ottimo!”.
Ada si trovava ora tra le mani una specie di flauto, leggerissimo. Provò ad appoggiarci la bocca: il sapore della natura, così diverso da tutto quello cui era abituata eppure così gradevole, conquistò le sue papille gustative.
“Ora soffiaci dentro e lascia che gli abitanti di questi luoghi ti guidino”
Concluse il sambuco.
Non appena Ada prese a suonare, tutti quegli animali che stavano scappando terrorizzati le vennero incontro: gli uccellini le dedicarono un canto, mentre gli altri l’accarezzavano affettuosamente coi musi, per poi farle segno di seguirla.
S’incamminarono lungo un sentiero che usciva dal bosco: non c’erano più alberi, solo prati e pianura; solo un cumulo di terra emergeva sullo sfondo piano.
Gli animali si fermarono, come se non potessero proseguire oltre. Il fumo era ormai sopra le loro teste… Almeno si era un po’ allontanato dal bosco!
Eppure… E se…?
Ma certo, doveva essere così!
Il generoso sambuco aveva affidato ad Ada uno strumento in grado di salvare tutti quanti: lo smog stava seguendo come incantato la melodia prodotta dal flauto e lungo la strada un po’ veniva catturato dal verde, un po’ dalle rocce… il resto, era da condurre nelle profondità della Terra, dove non poteva più infastidire l’aria e la natura.
La vecchia miniera abbandonata! Ecco dove l’avevano condotta gli amici animali. Com’era buio l’ingresso e quante ragnatele! Ada si
fece coraggio, pensando al bosco, ed entrò. Fece pochi passi, poi incontrò un binario con tanto di carretto. Non c’era più tempo ormai, doveva agire, e alla svelta!
Cosa avrebbe fatto l’ingegnoso sambuco al suo posto?
Idea! La bambina avvolse il flauto in un vestito di foglie, lo ripose nel carretto e diede una grossa spinta. Lo smog, ormai caduto in trappola, lo inseguì fino alle profondità della Terra: presto il nero dei fumi si confuse con l’oscurità ed Ada tornò al bosco come un’eroina, felice e contenta di aver rimediato ad un guaio combinato dalla sua città.
Chissà quanto altro c’era cui rimediare: la creatività degli alberi le sarebbe tornata molto utile, un giorno; ma l’unica certezza della bimba, per ora, era la bontà del succo di sambuco che l’amica pianta le aveva generosamente donato, in segno di festeggiamento.
E un po’ di quel succo prelibato andò a formare una piccola macchia sul su taccuino … davvero meglio di tante parole!

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