La storia di Ada e il Biancospino

Ada camminava nel boschetto, godendosi la pace che lì regnava: i rumori della città, ai quali era abituata sin da piccola, le sembravano un baccano insopportabile adesso che poteva gustarsi un po’ del suono del silenzio.
Solo i suoni del bosco lo accompagnavano.
Ad Ada piacevano in particolare i canti degli uccellini… Erano così intonati! Le loro voci erano gradevoli e armoniose e sapevano di mattinata assolata in primavera. Appena finiva di cantare un pettirosso, iniziava il fringuello, seguito dall’usignolo e dalla cinciallegra: i canti non si mischiavano mai, ma tutti andavano a riunirsi nella dolce melodia della natura.
Ad un certo punto però la voce dei cantanti del bosco si fece più acuta: quei suoni adesso assomigliavano più ad un richiamo, che ad un canto. Ada decise di seguire quei suoni, facendosi così guidare dagli uccellini verso una meravigliosa radura nascosta dai molti alberi.
Al suo centro svettava sopra l’erba alta un grande cespuglio di biancospino: non molto alto, ma piuttosto largo, tutto ricoperto di piccoli frutti tondi, brillanti grappoli di rosso che risaltavano sul verde delle piccole foglie.
Avvicinandosi, Ada notò che i rami erano tutti attorcigliati e molti erano ricoperti di spine. Si fermò ad osservare: il grande arbusto era avvolto da un’infinità di sfumature ora che tanti uccellini erano giunti fin lì.
Sembrava che fossero davvero ghiotti di quei frutti! Come li mangiavano felici in compagnia e quanto spensierato cantare! Che strano… all’inizio il biancospino le era sembrato desideroso di essere lasciato in pace: eppure, nonostante tutti quei rami e quelle spine, si stava comportando davvero generosamente con gli uccelli, permettendo loro di festeggiare coi propri frutti.
A quanto pare, non erano gli unici ad apprezzarli: c’erano anche dei piccoli insettini sulle foglie, poco più grandi dei frutti stessi… ma Ada non riuscì subito a dar loro un nome: s’illuminavano come lucciole ma avevano ali di farfalla e… un corpo da umani! Bellissimi come se fossero appena usciti da una fiaba, ma molto minuti.
“Siete forse… delle fatine?”
Sussurrò Ada, temendo di produrre una voce troppo alta per quegli esserini tanto graziosi.
Volandole all’altezza del viso, una di loro le rispose:
“Questo è solo uno dei tanti nomi che voi umani ci avete dato, nel corso del tempo… però sì, siamo quel che dici. Era dall’antichità che fate e umani non s’incontravano! È un piacere averti qui con noi: ogni anno in questo periodo visitiamo i biancospini del mondo, per
ringraziarli e sincerarci che siano in salute”.
Le altre fate svolazzavano curiose attorno ad Ada, emanando un buonissimo profumo di prati fioriti. Come intuendo la domanda che le stava per rivolgere la bambina, la fata riprese:
“Molto tempo fa, la nostra regina venne rapita da un ragno goloso. Solo grazie ai suoi poteri riuscì a liberarsi dalla tela, ma ancora non riusciva a volare… e com’erano veloci a correre le otto zampe del ragno affamato! Fortunatamente, tuffandosi tra i rami d’un biancospino, riuscì a sfuggirgli. Con grande sorpresa, trovò all’interno, avvolta in tutti quei rami, una bella corteccia grigia. La salutò e, vedendola timida, le confidò queste parole:

“noi fatine, fermandoci alle apparenze, non siamo mai venute a giocar con te. Non conoscendoti, nemmeno sapevamo fossi una pianta! L’unica, forse, con la quale il mio popolo non ha mai parlato… e adesso mi hai anche salvato, ti ringrazio! Come ti chiami?”

Una semplice domanda rivolta con un sorriso e due occhi che ispiravano fiducia bastarono a rompere il silenzio: il biancospino raccontò la sua storia alla regina. Le disse che si era nascosto tra i rami per trovare riparo da tutto quel che capitava in quel luogo
movimentato; ma adesso che si era avvolto in mezzo a tutte quelle spine, temeva di sembrare troppo particolare per sperar di poter fare amicizia con gli altri alberi”.
Passarono diverso tempo assieme, raccontandosi molto. La regina convinse il biancospino coi suoi racconti: il mondo era grande e i suoi abitanti potevano anche smarrirsi in esso; ma il timore non doveva impedire di aprirsi ai tesori che aveva da offrire. Il biancospino, piano piano, rassicurato dalla regina, cominciò allora a scambiare qualche parola con gli alberi attorno; poi aprì i suoi rami agli amici animali, in cerca di riparo o di compagnia. La timidezza divenne una caratteristica della cara pianta e non più un ostacolo. La nostra regina, dal canto suo, imparò quanto fosse importante, ogni tanto, passare del tempo con sé stessi per conoscersi meglio e poter così conoscere meglio gli altri, senza fermarsi alle prime impressioni; nonché il diritto di esser timidi. Ancora oggi, noi fate infatti ci mostriamo agli umani solo in prossimità d’un biancospino”.
“Che bella storia! Sono contenta che la vostra regina si sia salvata! Sapete, inizialmente anche io non volevo avvicinarmi troppo a lui…”
Ammise Ada, guardando la pianta.
“Immaginiamo per via delle sue spine”
Disse la fata
“Ma avresti fatto male: perché vicino a quelle spine, in primavera, sbocciano i fiori più bianchi che la Natura abbia mai visto. Esser timidi non vuol dire essere sbagliati: è solo un modo tutto particolare di abitare il mondo”
Una coroncina bianca come la neve apparve sui capelli neri di Ada; le fate, però, erano sparite. Rimanevano la bambina e il biancospino, in compagnia d’un pacifico silenzio.
Nuove pagine del quaderno si sarebbero presto riempite, dopo quell’incontro…

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