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La definizione di “bisogno egoistico di fare volontariato”, su cui verte la seconda riflessione che ci è stata data per la nostra formazione a distanza, centra in modo molto efficace un concetto che mi pare indispensabile nell'ambito di un'autoanalisi cui ogni volontario dovrebbe sottoporsi.

Le opportunità di dedicarsi al volontariato sono, oggigiorno, le più svariate e rispondono agli interessi degli aspiranti volontari più diversi: dal lavoro in fattorie organiche in cambio di vitto e alloggio, all’insegnamento dell’inglese nelle scuole dei paesi del terzo mondo, alle piu` classiche missioni cristiane in Africa, fino all'adesione alle molteplici associazioni no-profit attive in realtà locali più o meno circoscritte. 

Se ascoltassimo mille testimonianze di altrettanti volontari, nella maggior parte dei casi sono sicura che ci direbbero che è un’esperienza bellissima, in cui ricevi molto più di ciò che dai.

Potremmo chiederci se sia giusto andare a fare volontariato per se stessi.

Come va interpretato un gesto del genere se, come obiettivo primario, ha l’esperienza personale, invece che l’aiutare veramente chi ha bisogno? Quanto è egoista colui che antepone al fare del bene, il prorpio benessere? E' giusto fare del bene per sentirsi bene con se stessi? Andare a fare un periodo da volontario per mettersi l’anima in pace, autoconvincersi di essere persone buone?

Ma alla fine, hanno senso tutte queste domande? Ha importanza il perché lo fai, dato che in fondo, qualunque sia lo scopo, farai comunque del bene? Un po’ come le rockstar che fanno beneficienza per pubblicità: è così importante criticarle, o basterebbe preoccuparsi di chi riceve quei soldi?

O forse, l'accrescimento personale che il volontario riceve in cambio é semplicemente la ricompensa per il proprio servizio...

Sempre che questo servizio serva a qualcuno!

Studi recenti sul volontariato giovanile hanno confermato che l’impegno volontario è caratterizzato, oltre che da un andare verso l’altro, anche da un attingere dall’altro. Forse non è del tutto azzardato suggerire che spesso i volontari hanno più bisogno degli assistiti che non gli assistiti dei volontari”.

L'immagine del volontario è quella di una persona positiva e sorridente che mette a disposizione delle persone bisognose, in modo del tutto gratuito, il suo tempo, le sue risorse e le sue capacità.

Molti studiosi negli ultimi anni si sono dedicati ad analizzare la figura del volontario, che in Italia è in costante aumento. I risultati delle ricerche in quest'ambito contraddicono spesso i luoghi comuni creati intorno a questa figura.

È vero che il volontario presta servizio gratuito presso le associazioni per aiutare le persone in difficoltà, sole ed emarginate, ma si può essere sicuri che le motivazioni alla base di questi comportamenti siano sempre prosociali? Queste persone sono spinte solo da un sentimento altruistico?

Non è possibile stabilire precisamente cosa spinge una persona ad aiutare gratuitamente un'altra, poiché le motivazioni possono essere di varia natura e cambiano da soggetto a soggetto. Le motivazioni possono essere: consce e inconscia, semplici e complesse, transitorie e permanenti, di natura personale, culturale, religiosa e politica.

Partendo dall'analisi su se stessi si possono scoprire diverse ragioni che sottostanno alla spinta di fare volontariato, queste possono essere prosociali ma anche egoistiche. È necessario contemplare bisogni, aspettative e scopi che possono essere significativamente diversi anche tra i volontari della stessa associazione e che possono convivere nella stessa persona.

Sono state catalogate 6 motivazioni principali che spingono le persone a divenire volontari:

  • valori personali (values): esprime la presenza di interesse umanitario per gli altri.

  • comprensione (understanding): permette di mettere in pratica abilità, capacità e conoscenze che altrimenti rimarrebbero inespresse.

  • valori sociali (social): permette relazioni con gli altri.

  • carriera (career): permette di avere vantaggi per la propria carriera.

  • protezione (protection): protegge l'Io dai sensi di colpa per essere più fortunato di altri o per sviare l'attenzione dai problemi personali.

  • miglioramento (enhancement): vengono utilizzate le risorse positive dell'Io per accrescere la fiducia in sè stessi e l'autostima.

Ognuna di queste categorie racchiude tanto aspetti altruistici quanto egoistici.

Il volontariato rappresenta, in taluni casi, un mezzo per accrescere la propria autostima perché ci si sente utili, indispensabili o con una parte di rilievo nel miglioramento della condizione di vita di un’altra persona. In altri casi, invece, rappresenta un’occasione per occupare il tempo libero, o un’occasione di socializzazione, soprattutto per persone come anziani e casalinghe che hanno ampia disponibilità di tempo e cercano occasioni per mettersi alla prova, per impegnarsi socialmente.

Nell'ottica dell'invecchiamento attivo, il volontariato è una delle attività privilegiate dalle persone anziane. Con l'allungarsi della vita e del benessere molti anziani in pensione decidono di dedicare le loro risorse all'interno delle associazioni di volontariato. Questo accresce la loro autoefficacia, aiuta a sentirsi ancora attivi nel mondo, con uno scopo preciso in sostituzione del lavoro, inoltre favorisce la socializzazione alleviando il senso di solitudine e abbandono che spesso vivono queste persone. Dopo aver vissuto una vita attiva ci si ritrova a dover riorganizzare il tempo, scandito in precedenza dal lavoro e dai ritmi frenetici della vita quotidiana.

Infine, soprattutto per i giovani e per coloro che non sono ancora entrati nel mondo del lavoro, il volontariato rappresenta un’occasione di fare esperienze ed acquisire abilità facilmente spendibili in diversi contesti lavorativi.

Un altro aspetto che può rientrare tra le motivazioni egoistiche è il riconoscimento sociale di cui gode il volontario. È plausibile pensare che, visto che l'attività di volontariato risulta agli occhi della società positiva e benefica, queste qualità vengano trasferite su chi effettua l'attività e quindi venga giudicato più positivamente e favorevolmente rispetto al resto della società. Sarebbe per questo plausibile pensare che il volontariato accresca quella parte della persona narcisista che si alimenta e trae benessere dai giudizi positivi e dagli elogi che vengono dalla società.

È per questo che alcuni autori mettono in guardia dal sentimento di onnipotenza che può investire il volontario.

Un altro aspetto interessante che emerge dalla ricerca è che il riconoscimento sociale è diverso a seconda del tipo di volontariato. Mettendo a confronto un campione di volontari che svolgono attività presso un'associazione che si occupa di assistenza a persone anziane e un'altra che si occupa di cani abbandonati è emerso che chi svolgeva la prima attività ha un riconoscimento sociale maggiore di chi svolgeva la seconda.

Non va dimenticato che sentirsi integrati nel gruppo dell'associazione crea soddisfazione e benessere, fa sviluppare il senso d'identità: percepire l'attività di volontariato come parte integrante della propria personalità ed identità, favorisce la riuscita e la lunga durata dell'attività di volontariato.

In conclusione si può affermare che, sia per le persone anziane che per adulti e giovani, fare volontariato produce benessere per il volontario stesso, per il contesto sociale in cui egli vive e per chi riceve l'aiuto.

Sitografia:

http://exploremore.it/2010/10/12/il-benefattore-egoista-una-rifless...

http://www.benessere.com/psicologia/arg00/psicologia_volontariato.htm




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Risposte a questa discussione

È giusto definire il volontariato come un “bisogno egoistico” ?

Nell'immaginario collettivo il volontario è colui che si occupa del prossimo gratuitamente ,dedicandogli il proprio tempo, senza bisogno di ricevere nulla in cambio.

Questo però è poi così vero? È cosi sbagliato pensare che il volontario abbia a sua volta qualcosa in cambio da chi aiuta?

Fra chi da aiuto e chi lo riceve infatti si instaura inevitabilmente una relazione che , nel bene o nel male, è necessariamente biunivoca. Questa relazione è quindi un "trasferimento recispoco" , uno scambio in cui si dà qualcosa e si riceve necessariamente qualcos'altro.

È difficile perciò pensare al volontariato come ad una azione unidirezionale ,di solo dare.
Ciò che ne ricaverà da questa esperienza e l'uso che ne farà, se sarà per l'esaltazione del proprio ego o per il benessere della propria anima oppure per regalare un semplice sorriso o per la gioia di aver contribuito a migliorare la vita di qualcuno starà soltanto all'individualità del volontario.

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