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Nel quinto incontro di formazione ci è stato affidato un compito: individuare un personaggio che noi potessimo riconoscere come patriota.

Ho pensato molto a chi per me potesse portare una corona così pesante, come quella del patriota. Dopo molti volti che nella mia testa si sono avvicendati costituendo una nutrita galleria storica, la carrellata, come se il mio cervello stesse vedendo un film formato da un unico , lunghissimo piano-sequenza, si è fermata zoomando su un volto in particolare. Probabilmente il personaggio in questione non è mai stato considerato propriamente patriota né da vivo né tanto meno da morto, ma qui ci si dovrebbe soffermare sul concetto di patria che ognuno di noi ha, argomento che potrebbe essere oggetto di una prossima discussione. Come dicevo il mio “patriota” dalla maggior parte della gente non è ritenuto tale, anzi, diciamo pure che dai più non è neanche conosciuto, dal momento che la Storia per molto tempo l’ha relegato nell’ angolo buio degli antieroi.

Protagonista di una storia “bandita” parallela a quella dell’unità d’Italia, ha avuto un ruolo molto importante nella storia della Basilicata, sto parlando di Carmine Donatelli Crocco, brigante e capo indiscusso delle bande del Vulture, nel periodo risorgimentale.

Crocco nasce a Rionero in Vulture (PZ) nel 1830 che all’epoca faceva parte del regno delle due Sicilie, da Francesco, pastore e Maria Gerarda, massaia. La sua infanzia viene subito segnata dalla pazzia della madre e dall’arresto del padre entrambi causati da un signorotto del luogo, che costringe Crocco a prendersi cura dei suoi fratelli, quand’era poco più che un ragazzino.

Una volta divenuto adulto sposa la causa garibaldina con la viva speranza di ribaltare le sorti sue e del Mezzogiorno e riscattare la terra in mano ai Borboni, ma quando, dopo la presa di Napoli la fiducia riposta in Garibaldi viene irrimediabilmente tradita, Crocco decise di “saltare il fosso” e darsi alla macchia appoggiando la bandiera dei Borboni, diventando così brigante e generale di tutti quelli che come lui erano rimasti delusi dall’unificazione che evidentemente aveva ben altri scopi rispetto a quelli sperati dai poveri contadini.

L’Italia era fatta, ma non aveva mantenuto le promesse, la terra e la libertà non erano state concesse e così tutti coloro che erano stati calpestati in nome dell’Italia unità si vendicarono iniziando quella che  si potrebbe definire la rivoluzione delle “pezze al culo”.

Profondo conoscitore dei boschi attorno Rionero per Crocco diventava facile nascondersi e avere la vittoria sugli agguati.

La Natura in questo senso ha avuto un ruolo fondamentale in questa storia, quasi come se parteggiasse in qualche modo per la causa del brigantaggio, i boschi impervi attorno ai nascondigli dei briganti rendevano praticamente impossibile la loro localizzazione.

Il corso della Storia, però, non sorrise alla sorte dei briganti che dopo essere stati traditi da uno di loro, vennero uccisi senza pietà finche la rivolta a poco a poco si spense.

La vicenda di Crocco è un po’ il rovescio della medaglia dell’Unità d’Italia, una storia non fatta di eroi conclamati, ma di persone che con anima e corpo hanno lottato per la propria terra e per la propria dignità.

Indico qui di seguito il link di un piccolo documentario, che meglio delle mie parole, illustra chi fu Carmine Crocco e cosa fu il brigantaggio in Basilicata.

https://www.youtube.com/watch?v=8DJtdI9zQ9M

il secondo video di cui indico il link, invece, è un servizio di una tv locale lucana che pubblicizza “La Storia Bandita” cine spettacolo di cui anche io faccio parte in qualità di comparsa, che attraverso uno spettacolo  di teatro popolare e multimediale unico in Italia, racconta una delle pagine più controverse  e maggiormente significative della storia della Basilicata e dell’Italia nascente.

Il brigantaggio, viene rivisitato in forma spettacolare ed artistica coinvolgendo popolazioni locali e artisti di alto livello.

“La Storia Bandita” prende vita nella splendida cornice del bosco della Grancia ed è un ottimo viatico per valorizzare la storia, la natura e la cultura del luogo.

https://www.youtube.com/watch?v=ntNaGOZu8jI

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Risposte a questa discussione

 

Dovendo pensare ad una particolare figura che racchiuda in sé tanto l'impegno patriotico, quanto un particolare legame con la natura, emerge dai ricordi scolastici l'affascinante personalità di Giacomo Leopardi.

Nella vita e nell'opera di Giacomo Leopardi spiccano due aspetti predominati, uno meno conosciuto, l'altro sicuramente più trattato.

Il primo è il patriottismo: cantore dell'impegno civile e della solidarietà tra uomini, Leopardi è anche sostenitore della causa dell'unità d'Italia. Divenuto seguace del patriottismo repubblicano e democratico dopo l'incontro con Pietro Giordani, esprime la sua nuova convinzione tramite alcune poesie. La più importante è forse “All'Italia”, contiene molti degli elementi classici del genere: le glorie passate (“E le colonne e i simulacri e l'erme Torri degli avi nostri,”), le difficoltà del presente (“Siede in terra negletta e sconsolata, Nascondendo la facciaTra le ginocchia, e piange...), l'esortazione all'azione ed all'indipendenza (“Dove sono i tuoi figli...”).

Forse più intimo, il secondo aspetto, quello legato al rapporto con la natura.

Nel descriverlo, è necessario tenere conto di vari fattori. Per cominciare, la visione della vita del Leopardi: sensista e materialista, esclude qualunque forma di consolazione metafisica (come la religione), imponendo di limitare l'osservazione all'uomo ed all'ambiente in cui vive.

Inoltre, le vicende personali: nonostante i medici non siano unanimi sulla causa, il letterato di Recanati soffrì per tutta la vita di gravi problemi di salute, dalle deformità ossee (da cui il soprannome “Gobbo di Recanati”) ai problemi respiratori, alla stanchezza cronica. A questo vanno aggiunti i problemi psicologici, come i frequenti sbalzi d'umore, che probabilmente contribuirono ad una visione del mondo pessimista e senza speranza.

Infine, eventi come il terremoto del 1703: il sisma distrusse l'Aquila e territori circostanti, imprimendosi nella mente degli abitanti dell'Italia centrale e meridionale. E' allora possibile capire come tali ricordi possano aver rafforzato nell'intellettuale la visione della natura come forza insensibile all'uomo e non interessata al suo benessere.

Comunque sia, è possibile dividere il rapporto uomo-natura di Leopardi in due fasi: quella della natura benigna, e quella della natura maligna.

La fase della natura benigna corrisponde ai primi anni della vita: stimolato dalla giovinezza e dall'adolescenza, il poeta vede una natura alleata dell'uomo. In testi come le “Operette Morali”, attribuisce, infatti, alla natura la capacità di fornire illusioni, responsabili della cosa più vicina alla felicità che l'uomo possa raggiungere.

Ben diversa la seconda ed ultima fase: la natura diventa maligna e matrigna, in quanto spinge l'uomo alla conservazione della specie senza preoccuparsi del benessere e della sofferenza del singolo. Questo il pensiero del poeta: quando l'uomo viene al mondo, la natura gli dona il desiderio del piacere, ma non i mezzi per raggiungerlo. Tale filosofia diventa la base per opere come “Dialogo della Natura e di un Islandese”, (1824) che evidenzia il destino dell'uomo, ingranaggio insignificante di un sistema di produzione-distruzione e “La Ginestra” (1836) che ribadisce come la considerazione che la Natura per l'uomo non è superiore o migliore di quella che la stessa ha per le formiche.

Questa è la fase del pessimismo cosmico: tuttavia, per Leopardi l'umanità può adottare alcuni meccanismi di difesa.

Il primo, praticare l'atarassia, cioè il distacco dalle passioni: come i filosofi stoici, gli uomini devono cercare di dominare i sentimenti, per raggiungere un equilibrio che agisca da scudo contro il male e la crudeltà del mondo.

Eppure, decisiva è la collaborazione tra uomini: se la ginestra è la sfida della vita al deserto, la fratellanza e la solidarietà tra uomini sono le uniche forze in grado di sfidare la Natura cieca e disinteressata, la tenacia dell'Amore contro la brutalità cieca del Fato.

Prendendo, però, le distanze dalle reminescenze più accademiche e volgendo lo sguardo (come avrebbe detto anche il poeta) verso una realtà più concreta e vicina a noi, l'immagine che mi sento di poter ricondurre ad un'idea attuale di patriota e, ancora di più di “patriota della Natura” è quella del Frate Francescano, o meglio dell'Ordine cui appartiene.

Penso, infatti, che oggigiorno, almeno in Italia, sia ridicolo pensare ad una difesa dei confini, quanto piuttosto appare significativa la trasmissione di un'immagine positiva del nostro Paese, sia all'estero che all'interno dell'Italia stessa.

Quello Francescano è l'Ordine religioso italiano per eccellenza: San Francesco d'Assisi è il patrono d'Italia e, ancora oggi, la sua figura e quella dei suoi seguaci richiamano i principi dell'umiltà, di una povertà utile e rispettosa del prossimo. Con questo spirito i frati poverelli divulgano il loro credo fra la gente, riportando una delle immagini migliori che il Bel Paese sia in grado di offrire.

Il legame che intercorre fra questi e la Natura, poi, è chiaro a tutti. L'amore di Francesco per il Creato supera di gran lunga la semplice reverenza ed il rispetto, bensì si fa Letizia verso la Natura in ogni sua forma.

Si può dire che il Santo, come Leopardi, conoscesse appieno i due aspetti della Natura: la sua rude asprezza, che si esprime nel gelo, nella siccità e persino nella morte, e la dolce amorevolezza con cui concede i suoi frutti e la sua meraviglia. Ebbene, Francesco coglie entrambi con letizia, con incantata accettazione. Il cammino dei frati procede nel Mondo con forza delicata, come i loro sandali calpestano strade, prati e sentieri, ma quasi chiedendone il permesso, portando con sé un messaggio che va al di là della fede di ognuno di noi: un esempio prezioso di rettitudine e amore per tutte le Creature.

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